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Karen_LaMonte_Reclining Dress Impression with Drapery_B.jpg

La poesia del significato e della perdita

- Arthur C. Danto

Quando rimasi affascinato dall’opera di Karen LaMonte, il mio interesse era rivolto al genio della sua visione. Fu concesso come un dono dell’immaginazione creativa e la trasformò in un’artista molto diversa da quella che sarebbe stata se quella visione non le fosse stata accordata. Le opere di LaMonte, qualunque sia il loro peso, proclamano bellezza ed evanescenza, fragilità e delicatezza, trasparenza e luce, lusso e magia.

 

La sua decisione di fare dell’abito il motivo centrale la condusse al tipo di abito scelto per la transustanziazione nel vetro, dove la fragilità del materiale accresce la finezza e la traslucenza del tessuto, e la leggerezza resa dall’ornamentazione del capo — balze, fiocchi, nastri, volant. Almeno all’inizio, gli abiti prescelti erano dichiarazioni di femminilità radicale da parte di chi li indossava — capi costruiti per proiettare un’immagine di grazia ideale. Nel suo brillante libro Seeing through Clothes, Anne Hollander sostiene che «la funzione primaria dell’abbigliamento occidentale è contribuire alla costruzione di un’immagine consapevole di sé, un’immagine collegata a tutte le altre visualizzazioni immaginative e idealizzate del corpo umano». I capi con cui LaMonte lavorava non erano — se non da una prospettiva cinica — abiti da lavoro: abiti casalinghi, completi da ufficio, uniformi. Erano abiti ornamentali per occasioni speciali e traducevano in termini visivi la metafora della donna come ornamento essa stessa, la cui sostanza era estetica da cima a fondo. La maggior parte degli abiti che LaMonte ha fuso in vetro sono tanto vestigia di un tempo scomparso quanto di una persona assente.

 

Sono datati come vecchie fotografie, ritrovate in fondo ai cassetti o dimenticate tra le pagine dei libri. Questo mi conduce a uno degli aspetti più interessanti del lavoro di LaMonte. Vediamo attraverso il tessuto fino al corpo nudo delle donne che li hanno indossati, come se il corpo avesse lasciato la propria impronta sull’abito che lo celava ma al contempo vi alludeva. È come se la bellezza del corpo di chi lo indossava fosse conservata nel suo indumento, e noi scorgiamo l’ombelico, i capezzoli, il delta in ombra tra le gambe, i glutei. A mio avviso ciò aggiunge una dimensione tragica alla poesia dell’opera. L’abito apparteneva a un momento in cui la donna era, per usare un’espressione di Proust, en fleur. L’abito apparteneva a un certo momento della storia, che esso conserva: mostra come le donne si vestissero per determinate occasioni in un dato tempo. Chi lo indossò sarà invecchiata. Allora appariva così, ma, se è ancora in vita, è certo che oggi non apparirà più così. C’è una doppia malinconia — la malinconia della moda e la malinconia del mutamento del corpo, dalla nubilità alla decrepitezza. I seni sono scesi, la vita si è ispessita, la pelle ha perduto trasparenza e luminosità. L’intensità struggente degli abiti di LaMonte è il prodotto di due modalità di cambiamento cui partecipiamo in quanto esseri umani, composti, come siamo, di carne e di significato. La loro poesia è la poesia della bellezza e della perdita.

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Opere e immagini © 2025 Karen LaMonte

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